Mazzacana Gallery, in occasione della diciannovesima Giornata del Contemporaneo, è lieta di collaborare con Spazio Bedeschi e di presentare la mostra collettiva degli artisti Vittorio Asteriti, Manuela Bedeschi, Tiziano Bellomi, Piero Chiariello, Meri Tancredi, a cura di Simone Azzoni.
L’inaugurazione della mostra collettiva si terrà sabato 7 ottobre alle ore 17:00 nelle sale espositive di Spazio Bedeschi, “uno studio d’artista che ospita l’arte”, in via del Bersagliere 8E (Verona) e sarà visitabile fino al 15 ottobre, dalle ore 15:00 alle 19:00.
Di seguito, un estratto dal catalogo della mostra:
Cinque cognomi, parole metonimiche. Parole prive di corpo, tutto e niente. Diverse realtà possibili convivono: il progetto, l’intenzione modulare, la forma inespressa del pensiero, il solo colore, il colore solo.
Stephen Kaltenbach negava lo statuto dell’opera affermandone solo l’involucro. Art Work erano le sue indicazioni per disfarsi del contenuto all’apertura del contenitore. E poi Hanne Darboven che indicizzava tempo ed esperienze traducendoli in numeri, cifre, formule. E ancora On Kawara che trasformava i luoghi in segni comunicativi, cartoline di una narrazione temporale ossessiva. Ma la stagione del concettuale ci ha anche raccontato la tautologia della parola in Boetti e in Kosuth che illuminava le definizioni per farne sentenze tautologiche. Le strisce cromatiche di Daniel Buren ricavando il ritmo dal contesto, riportavano lo sguardo sull’ambiente in cui le opere stavano con geometrico rigore. La natura dell’immagine come archetipo di Zbigniew Rybczyński faceva eco all’atomismo iconografico di Chuck Close che scomponeva e ricomponeva come oggi Joan Foncuberta.
Vittorio Asteriti, Manuela Bedeschi, Tiziano Bellomi, Piero Chiariello e Meri Tancredi sembrano essere i pendoli di quell’esperienza che oscilla tra la nostalgia del dire e la sua impossibilità. Le tracce dell’assenza di un Mel Bochner sono le vestigia materiali e virtuali di Meri Tancredi che metabolizza il tempo vissuto in un tempo dai residui performativi.
Non tutte le idee hanno bisogno di concretarsi fisicamente. Il discorso, il testo, sostituisce l’oggetto, l’opera. La parola luminosa e illuminata di Manuela Bedeschi è solo una variante formale delle possibilità che l’idea può assumere quando si fa retorica ed enunciato puro. L’opera non può stare nella convenzione, entro un ingombro, una dimensione, una misura, un peso. Ne sente la sofferenza anche quando il colore di Tiziano Bellomi ci rimanda alla pittura come atto, gesto, materia. Le strisce di colore sono ritmo, massa, verticalità o orizzontalità, vibrano per
gli accostamenti di Vittorio Asteriti che con l’apparente oggettività delle cromie, genera spazi comunicanti tra anima e mondo.Solo le idee possono occupare uno spazio, generare valori formali, fisici della materia. L’opera si costruisce in assenza di certezza formale. Si pone prima della sua origine o nel suo disfacimento per eccessiva prossimità. I pixel di Piero Chiariello ricompongono l’unità perduta tra grafico e iconografico, riportandoci alla struttura geometrica a cui Jan Dibbets riportò il caos del morbido, del difforme naturale.
Simone Azzoni, curatore della mostra.
Così questa esperienza del “cognome” per non nominare le cose, mostra la vastità irriconducibile di ogni discorso sull’arte. L’ immagine abituale è pellicola sottile, uno strato di pensiero che riveste la realtà. La bellezza è potenza in-espressa dell’idea. Un’idea si può visualizzare, ma solo in noi.